Ephemera. Festival di cultura immateriale

ph. Caterina Erica Shanta

Ephemera sperimenta un connubio all’apparenza inusuale, ma in realtà ricco di senso e coerenza, tra pratiche legate al corpo e al movimento e le arti perfomative. Dove nasce questa necessità?

L’idea cardine del progetto curatoriale ha a che fare con la forza – tanto misteriosa e intangibile quanto evidente – della presenza. Attivare la meraviglia, proporne una fruizione collettiva e rispettosa è un atto culturale necessario. La presenza è corpo che sta nella meraviglia – le importanti collezioni che hanno sede nei luoghi del festival e il territorio che le ospita, storico e naturale.

La presenza è corpo che sta nella meraviglia – le importanti collezioni che hanno sede nei luoghi del festival e il territorio che le ospita, storico e naturale.

 

 

Abbiamo scelto dei luoghi che custodiscono collezioni importanti in valore assoluto che però hanno in comune la vocazione al desiderio di “farsi vivere” non di “farsi guardare”. Proporre per ognuno di questi luoghi una produzione performativa originale site specific rende palese la necessità della presenza, dell’artista come del pubblico. La consapevolezza del corpo – del suo stare e del suo muoversi – in relazione al patrimonio culturale diffuso è un atto culturale.

Ci interessava far vedere e conoscere luoghi che accolgono già delle collezioni di arte contemporanea. Luoghi quindi che non era necessario “riempire” con “oggetti fisici” (mostre, opere d’arte, installazioni ecc.) quanto piuttosto accendere e attivare. Abbiamo pensato alle arti performative perché queste, per definizione, chiamano direttamente in causa il corpo e l’esperienza diretta – fisica e sensoriale – dello spettatore.

 

 

Non dimentichiamo che anche lo sport, proprio come l’arte, è un dispositivo culturale e sociale.
Innanzitutto, viene chiamata in causa la condivisione dell’esperienza tra persone compresenti in un luogo; i laboratori proposti, proprio come gli eventi performativi, promuovono una fruizione attiva e sinestetica (o che chiami in causa i diversi sensi), che generasse una maggiore consapevolezza di sé stessi e una connessione tra corpo e mente e con l’ambiente circostante. Ad esempio, proprio come la performance di danza contemporanea, anche le lezioni di feldenkrais tra le opere del Prato d’Arte Marzona di Verzegnis hanno inglobato nell’esperienza i suoni e i profumi della natura, la sensazione tattile del prato, la luce e la vista del paesaggio naturale, la consapevolezza acquisita di quel patrimonio artistico. E lo stesso può dirsi per gli altri luoghi coinvolti.

Le discipline sportive selezionate inoltre, se da un lato sono accessibili a tutti in termini di fruibilità, dall’altro costituiscono ancora una novità nel panorama regionale, e la nostra proposta è stata un’occasione di sperimentazione e avvicinamento per molte persone.

 

 

Dopo la messa in scena del primo capitolo di Ephemera 2022, gli eventi presentati al Prato d’Arte Marzona, al Vigne Museum e a Palazzo Lantieri sembrano tendere o voler intrecciare la performance all’happening instaurando una partecipazione — emotiva ed emozionale “attiva” — dello spettatore. Sotto questa luce, le sessioni di chi Walking, il metodo Feldenkrais, lo yoga acquisiscono una loro valenza di momenti anticipatori e preparatori alle performance artistiche.
Se così, la scelta è stata recepita correttamente o l’affiancamento dei due ambiti necessita di un processo più lungo per integrarsi?

Abbiamo cercato di proporre delle pratiche tanto inclusive quanto non scontate per poter indagare e sperimentare insieme la presenza con consapevolezza nuova. Siamo profondamente convinte del valore culturale che lo sport in senso lato e nello specifico la relazione e la consapevolezza somatica hanno, specialmente oggi. Ci siamo affidate a pratiche note ed inclusive – in primis a lo yoga, che non a caso di recente è stata riconosciuta dall’UNESCO come Patrimonio Immateriale dell’Umanità – ma anche a proposte meno conosciute e profondamente legate alla ricerca della consapevolezza somatica – come il Metodo Feldenkrais e il ChiRunning. Siamo orgogliose che questa proposta sia stata in grado di intercettare un pubblico davvero trasversale – dai ragazzi agli over ottanta – e abbiamo scelto di affidare la guida dei laboratori a insegnanti con lunga esperienza nelle discipline somatiche ma con solide radici legate alle arti performative. La strada è lunga, in primis per noi. Dobbiamo avere il coraggio di portare avanti questa idea fino in fondo, valorizzando lo spessore e la visione curatoriale anche per la proposta legata alle discipline somatiche. Per le prossime edizioni sarebbe bello rendere esplicito questo sforzo, certe della validità di questo connubio, possiamo lavorare per integrare e fondere maggiormente le due esperienze, o i pubblici dei due ambiti.

 

 

Per quanto riguarda questa prima edizione sicuramente le attività laboratoriali ci hanno permesso di introdurre le tematiche del Festival, i suoi luoghi e i suoi contenuti a un pubblico diverso, vario e molto eterogeneo. In alcuni casi è successo che i partecipanti di un laboratorio abbiano poi deciso di fermarsi a quello successivo, come per le sessioni di Yoga e Feldenkrais a Parco della Persiana di Palazzo Lantieri. In altri casi invece è successo il contrario: la partecipazione ad un evento performativo ha portato le persone a seguirci nelle date successive del Festival: una coppia, ad esempio, dopo aver partecipato all’evento di dance performance al Prato d’Arte ci ha seguito in tutte le date successive, partecipando sia ai laboratori sia agli altri eventi performativi.
Per questo, e per l’entusiasmo visto nei volti delle persone, crediamo che la nostra direzione curatoriale sia sulla strada giusta, come anche la programmazione proposta.

… per l’entusiasmo visto nei volti delle persone, crediamo che la nostra direzione curatoriale sia sulla strada giusta, come anche la programmazione proposta.

 

 

Questa, infatti, è stata ben accolta, considerato anche l’alto numero di partecipanti che abbiamo avuto ai diversi laboratori che, in tutti i casi, hanno fatto sold out. Come, del resto, è valso anche per le tre perfomance. Certamente però, è innegabile il fatto che si tratta di processi lunghi in cui, all’attività fisica di per sè, vadano uniti o prima o dopo dei momenti di confronto, di spiegazione e contestualizzazione. Questo però vale anche al contrario: ci siamo rese conto che poche volte, ad esempio, abbiamo parlato delle diverse attività laboratoriali sportive al pubblico dei nostri eventi.

 

 

A una prima lettura i luoghi di Ephemera hanno una forte carica di energia. Luoghi in cui le installazioni architettoniche e artistiche sono in aperto dialogo con la natura, il territorio, gl elementi. Un Valore aggiunto per le performance stesse.
Come avete scelto le location?
Ci sono altri luoghi del Fvg che vi hanno trasferito le stesse suggestioni e che vedremo nel futuro di Ephemera?

La scelta dei luoghi è avvenuta in maniera semplice e molto naturale, senza particolari difficoltà, unendo realtà già conosciute che accoglievano al loro interno delle straordinarie collezioni d’arte contemporanea. Da un punto di vista curatoriale Ephemera è stato proprio ideato a partire da questi cinque luoghi e, per ognuno di essi, abbiamo immaginato una proposta artistica ad hoc e specifica, a partire dalle caratteristiche di ognuno.
La scelta degli artisti ha tenuto conto sia della peculiarità del portato storico dei luoghi – per esempio da qui è nata l’idea di coinvolgere una personalità come Alvin Curran, il cui percorso di ricerca che abbraccia quasi sessant’anni di sperimentazione è strettamente legato alla poetica di Yona Friedman, ma anche di solide reti sul territorio che ci hanno suggerito il coinvolgimento di Fabio Accurso e del Centro Giuliano di Musica Antica per l’evento a Palazzo Lantieri, in dialogo con Giorgio Pacorig, artista regionale conosciuto e apprezzato in Italia ed Europa assieme al direttore artistico del Centro d’Arte di Padova, riferimento per la ricerca nella musica sperimentale da oltre settant’anni.

 

 

La scelta degli artisti ha tenuto conto sia della peculiarità del portato storico dei luoghi – per esempio da qui è nata l’idea di coinvolgere una personalità come Alvin Curran, il cui percorso di ricerca che abbraccia quasi sessant’anni di sperimentazione è strettamente legato alla poetica di Yona Friedman, ma anche di solide reti sul territorio che ci hanno suggerito il coinvolgimento di Fabio Accurso e del Centro Giuliano di Musica Antica per l’evento a Palazzo Lantieri, in dialogo con Giorgio Pacorig, artista regionale conosciuto e apprezzato in Italia ed Europa assieme al direttore artistico del Centro d’Arte di Padova, riferimento per la ricerca nella musica sperimentale da oltre settant’anni.

Ecco perché la rete (i punti di sfondo) della nostra identità visiva: abbiamo guardato all’esistente, ai Patrimoni culturali della Regione e allargato lo sguardo rendendo le connessioni più fertili e significanti. Per quel che riguarda Libreria Martincigh e Trieste Contemporanea sono spazi per noi di alto livello e qualità artistica e le loro direttrici sono donne che noi stimiamo perché con tenacia, resistenza, professionalità si occupano da anni di ricerca, produzione e diffusione del contemporaneo con uno sguardo attento alle comunità locali ma con un’apertura internazionale.

 

 

Ecco perché la rete (i punti di sfondo) della nostra identità visiva: abbiamo guardato all’esistente, ai Patrimoni culturali della Regione e allargato lo sguardo rendendo le connessioni più fertili e significanti. Per quel che riguarda Libreria Martincigh e Trieste Contemporanea sono spazi per noi di alto livello e qualità artistica e le loro direttrici sono donne che noi stimiamo perché con tenacia, resistenza, professionalità si occupano da anni di ricerca, produzione e diffusione del contemporaneo con uno sguardo attento alle comunità locali ma con un’apertura internazionale.

C’è però un altro dato importante, che riguarda i tre luoghi scelti per le tre perfomance artistiche: Prato d’Arte Marzona, Vigne Museum, Palazzo Lantieri e riguarda la tipologia di artisti presenti e le rispettive installazioni.
Il Prato d’Arte Marzona, per esempio, è stato un luogo imprescindibile, oltre per la sua collocazione nelle Prealpi Carniche – “le montagne” sia di Michela che di Eleonora – anche perchè collezione Marzona è oggetto di attenzione e ricerca del lavoro di Michela da diversi anni. Il nucleo di artisti che lo compone, quello numericamente più abbondante, è come se naturalmente e per prossimità includesse anche gli altri: Yona Friedman e Michelangelo Pistoletto, anche se geograficamente distanti. La collezione Marzona si compone di una sezione importantissima di Arte Povera che a Verzegnis non è visibile e “Skies” di Pistoletto a Palazzo Lantieri è come se colmasse questa lacuna, questo “non visibile”. Come Yona Friedman, visionario e utopico avanguardista, di fatto è un autore i cui ephemera sulle architetture utopiche sono proprio presenti nell’Archivio Marzona e in Regione visibili a Vigne Museum. Oltre a questo però, il dato fondamentale riguarda le caratteristiche delle installazioni stesse e la loro particolarità di definirsi spazio in quell’istante, veloce, di contatto con il corpo dello spettatore che le fruisce, le attraversa, le osserva. Tutte sono accomunate da una serie di principi comuni: la messa in discussione del punto di vista di chi le osserva, la compenetrazione tra interno ed esterno, l’invito a una fruizione attiva e di attraversamento che chiama direttamente in causa il corpo, il carattere fortemente site specific e un leggero senso di nascondimento: non si rivelano con sfrontatezza alla vista.

 

 

… la messa in discussione del punto di vista di chi le osserva, la compenetrazione tra interno ed esterno, l’invito a una fruizione attiva e di attraversamento che chiama direttamente in causa il corpo, il carattere fortemente site specific e un leggero senso di nascondimento: non si rivelano con sfrontatezza alla vista.

Anche il grande specchio di Pistoletto, in fondo, pur nel suo iconico svelare rende visibile l’altro da sé: come ha ricordato Carolina Lantieri introducendo l’evento musicale di Ephemera a Palazzo gli specchi si dice servano ad assorbire sogni. Rimaniamo sempre nel misterioso nascondimento che ha a che fare con la scoperta e con la meraviglia in dialogo delicato ma importante col contesto storico e naturale in cui sono immerse, e dove vanno cercate.

Rimaniamo sempre nel misterioso nascondimento che ha a che fare con la scoperta e con la meraviglia in dialogo delicato ma importante col contesto storico e naturale in cui sono immerse, e dove vanno cercate.

Sono strumenti di osservazione del paesaggio che le circonda, o dispositivi per la lettura di geografie immaginarie e, data la loro natura spaziale, sono punti di ancoraggio nello spazio, punti da cui partire o a cui arrivare per vederlo, scoprirlo e conoscerlo.
Questa edizione ha sicuramente consolidato la scelta di questi luoghi, che rimarranno imprescindibili per l’identità del festival. Ma abbiamo le antenne attente, sicuramente in Regione ma anche oltre ai confini regionali e nazionali.

 

 

Possiamo aspettarci uno sconfinamento in termini territoriali? Non solo regionali ma transfrontalieri?
Il modello di rete che avete costruito sembra fatto per generare ponti e scambi.
Forse è presto per parlarne, ma l’idea rientra in una visione futura o il Festival intende procedere secondo un diverso percorso curatoriale?

Se si guarda alla nostra identità visiva si capisce come Ephemera sia stato immaginato come una struttura mobile e rizomatica, fatta di persone, collaborazioni e quindi alimentata dalle visioni e professionalità che ognuna di esse porta. Come in ogni oggetto mobile, la staticità non è contemplata, per cui all’interno di questa costellazione è probabile che alcune persone possano continuare ad alimentarne la visione mentre altre arriveranno, con la fine di questa prima edizione, a una naturale conclusione.

 

 

Come in ogni oggetto mobile, la staticità non è contemplata…

In questo senso dici bene quando descrivi il progetto come un attivatore di ponti e scambi e, ancora una volta, la nostra identità visiva sembra darti conferma. I punti che fanno da sfondo al nostro logo sono per noi dei nuclei pulsanti da collegare, sono degli spazi di possibilità, nuovi luoghi e geografie a cui arrivare, coordinate geografiche di una mappa “muta” che può essere quella del Friuli Venezia Giulia (come quest’anno) o di altri luoghi.

I punti che fanno da sfondo al nostro logo sono per noi dei nuclei pulsanti da collegare, sono degli spazi di possibilità, nuovi luoghi e geografie a cui arrivare, coordinate geografiche di una mappa “muta” che può essere quella del Friuli Venezia Giulia (come quest’anno) o di altri luoghi.

Non ci precludiamo delle possibilità: pensiamo che ci si debba alleare al simile, cogliere le opportunità che l’incontro inaspettato ti presenta. Alla luce di tutto questo è difficile considerare Ephemera rinchiuso solamente all’interno dei confini regionali, considerate anche le specificità geografiche del luogo in cui è nato e delle persone che lo hanno ideato: una Regione di confine, vicino all’Austria e alla Slovenia, terra di migrazione e apertura verso l’altro; tre curatrici che, anche se attive qui, hanno vissuto all’estero e si nutrono di esperienze che fuoriescono dai perimetri di questa Regione.

 

 

Il 2025 segnerà un momento importante per Gorizia / Nova Gorica ma più in generale per l’intera regione. Un’opportunità da capitalizzare affinché gli eventi che caratterizzeranno quell’anno ma anche l’avvicinamento non restituiscano solo un’esposizione mediatica ma siano i germogli di un rilancio di luoghi, territori, progetti.
Guardate già a quel momento come un’opportunità per allargare ulteriormente le maglie o è ancora troppo presto?

Partiamo dai puntini pulsanti di cui sopra: questa prima fase di Ephemera è stata ospitata in uno dei luoghi simbolo di Gorizia e ha coinvolto realtà importanti del territorio goriziano. Non è possibile pensare che non ci saranno degli sviluppi che, per altro, saranno strettamente connessi alla volontà di veicolare la cultura contemporanea in questo prezioso territorio di confine.
Questo momento in cui ti sei rivolta a noi è in realtà per Ephemera una parentesi temporale estiva, il Festival non è ancora concluso del tutto perchè proseguirà nei mesi autunnali con altre attività: la mostra di Riccardo Arena, i laboratori sportivi e artistici con le scuole, le visite guidate. Questo per dire che siamo nel pieno del processo, avendo però con noi la consapevolezza di voler portare avanti Ephemera nei prossimi anni. Sappiamo che il lavoro sarà lungo e impegnativo: reperimento di fondi, ricerca di bandi, consolidamento dei rapporti con i partner, ricerca di nuove collaborazioni ecc. ma siamo convinte che le premesse ci siano tutte, non sarà necessario né forzare né tradire il progetto.
Il 2025, che può sembrare lontano, in realtà è dietro l’angolo e pensiamo che per un momento così importante sia necessario adottare strategie a lungo raggio capaci di arrivare a quell’evento con una programmazione curatoriale solida e innovativa. Individualmente, ciascuna di noi ha già attivi contatti e iniziative che guardano all’area di confine e oltre. La possibilità che questo diventi un baricentro per le future edizioni di Ephemera dipenderà anche dalle opportunità e dalla coerenza tra queste e le nostre idee progettuali: insomma, l’interesse c’è senz’altro, ma non vogliamo che GO2025! diventi una “tappa obbligata”, anche perché la competizione, sia per le risorse sia per l’attenzione del pubblico, sarà molto elevata. Certamente per noi può essere un’opportunità ma forse è ancora un pò presto per pensarci.

 

 

Parallelamente ad Ephemera, portate avanti e ognuna nel proprio campo delle attività curatoriali, imprenditoriali, di project management in autonomia. Sinteticamente, vi chiediamo qualche informazione sui vostri altri progetti individuali. Una curiosità ma anche un dato per comprendere la vostra alchimia nel contesto di Ephemera.

Alchimia è un buon termine per descrivere questa fortunatissima avventura corale che unisce percorsi tanto diversi ma così simili per sensibilità.

Eleonora Cedaro – “Alchimia è un buon termine per descrivere questa fortunatissima avventura corale che unisce percorsi tanto diversi ma così simili per sensibilità.
La mia formazione è legata alle Arti e alle Discipline dello Spettacolo: lo spettacolo dal vivo è trasversalmente sempre stato il mio ambito di interesse e la mia passione. Mi sono laureata in Discipline dello spettacolo all’Università di Trieste e l’esperienza fondativa per i miei percorsi successivi è senz’altro legata agli anni che ho trascorso a New York, lavorando per The Living Theatre e per altre realtà indipendenti che ho incontrato vivendo l’insonne fucina della grande mela. Mi occupo di organizzazione e progettazione di spettacolo dal vivo, di distribuzione e management culturale, sono orgogliosamente una curatrice indipendente. Mi ha sempre mossa il desiderio di far accadere qualcosa di bello, mettendo assieme teste, talenti, idee, progetti e trasformarle in produzioni.

… sono orgogliosamente una curatrice indipendente.
Mi ha sempre mossa il desiderio di far accadere qualcosa di bello, mettendo assieme teste, talenti, idee, progetti e trasformarle in produzioni.

Rientrata a Trieste nel 2014 ho fondato assieme a Gary Brackett – con cui ho condiviso tanti anni di lavoro negli Stati Uniti – PerForm, centro dedicato alle discipline del corpo e alle arti performative (che nel 2016 si è costituito in ASD) e coronando il sogno di poter avere uno spazio veramente indipendente e accogliente: in questi otto anni abbiamo ospitato artisti locali e internazionali, progetti di ricerca, residenze, produzione e costruito una rete importante sul territorio. A Trieste di recente ho collaborato con il Teatro Miela per cui ho curato la rassegna Buon compleanno Satie! dal 2019 al 2022 e con Trieste Contemporanea per il progetto di podcast dedicato al contemporaneo Sarà il Mare. Fuori regione collaboro stabilmente con Centro Studio Attori di Milano, centro teatrale di formazione e ricerca, nello specifico seguo le masterclass di alta formazione prodotte in collaborazione con i John Strasberg Studios di New York. E poi c’è l’orchestra giovanile ESYO, Giovani musicisti europei, per cui curo il tour management – un’esperienza faticosissima, caotica ma incredibilmente generosa e necessaria. Un progetto trentennale che riunisce ragazzi dal 13 ai 20 anni scelti dal Maestro Igor Coretti fra gli allievi di Conservatori e Scuole di Musica di tutta Europa che si incontrano da “estranei”, studiando con docenti internazionali e alla fine del percorso diventano, magicamente, un’orchestra (che è molto di più dei musicisti che riunisce). Ci tengo molto a questa atipica e piratesca avventura, non è facile da spiegare ma è una delle esperienze più preziose che ho incontrato.”

 

 

Michela Lupieri – “Faccio una premessa, utile per capire la mia pratica curatoriale: mi affascinano gli spazi espositivi non convenzionali, i luoghi in cui la natura è protagonista e dove l’arte è inserita in inusuali contesti dialogando così sia con il paesaggio attorno sia con le comunità che lo vivono o attraversano.

… mi affascinano gli spazi espositivi non convenzionali, i luoghi in cui la natura è protagonista e dove l’arte è inserita in inusuali contesti dialogando così sia con il paesaggio attorno sia con le comunità che lo vivono o attraversano.

Ho avuto la fortuna di crescere vicino al Prato d’Arte Marzona, un luogo che ha segnato il mio percorso di vita e professionale. Non solo trovavo stimolante camminare tra quelle installazioni di cui non ne capivo il senso ma farlo mi ha portato a studiare Arti Visive allo IUAV di Venezia dove decisi di dedicargli la mia tesi di laurea triennale. Oggi la collezione Marzona è il tema del mio progetto di ricerca del dottorato che sto svolgendo a Dresda, altro luogo che tengo a nominare. Qui infatti ho lavorato per tre anni all’Archivio delle Avanguardie che Marzona ha donato al SKD, un archivio di ephemera dalle Avanguardie fino a fine Novecento che sicuramente mi ha portato, indirettamente e insieme ad altre cose, a pensare e ideare questo Festival. Però le mie ricerche e attività vanno oltre tutto questo, lavoro come curatrice indipendente e dal 2018 faccio parte del team di Palinsesti, una rassegna che da oltre trent’anni porta il contemporaneo negli spazi storici di San Vito al Tagliamento. Nello specifico curo In Sesto, un Premio rivolto ad artisti internazionali per la realizzazione di una installazione site specific per uno spazio pubblico della cittadina. Infine, dall’anno scorso, insegno storia dell’arte contemporanea alla ABA UD, Accademia di Belle Arti di Udine, professione che mi piace molto perché purtroppo l’arte contemporanea non sempre è capita ma è necessaria, è uno strumento con cui leggere quello che accade, il presente in dialogo con la storia. Offrire ai ragazzi giovani le chiavi di lettura per farlo è molto importante e arricchente.”

… purtroppo l’arte contemporanea non sempre è capita ma è necessaria, è uno strumento con cui leggere quello che accade, il presente in dialogo con la storia. Offrire ai ragazzi giovani le chiavi di lettura per farlo è molto importante e arricchente.

 

Rachele D’Osualdo – “Dopo una formazione in management per l’arte a Milano, dal 2009 ho lavorato nel campo dell’arte contemporanea: a Venezia, per sette anni all’Istituzione Fondazione Bevilacqua La Masa mi sono occupata del programma di residenze e atelier per giovani artisti e della produzione di mostre di artisti emergenti e affermati; successivamente per un paio d’anni ho collaborato con l’artista Giorgio Andreotta Calò e il suo studio. Grazie al ruolo di Venezia come magnete per la produzione d’arte contemporanea internazionale e al suo essere un polo formativo ancora molto importante per gli artisti italiani, l’esperienza è stata fondamentale non solo per la professionalità maturata, ma per l’importantissima rete di relazioni professionali e interpersonali nate in quegli anni, soprattutto con artisti della mia generazione, con cui “siamo cresciuti assieme” e che ora conseguono importanti risultati a livello nazionale e internazionale. Rientrata in Friuli, ho perseguito con tenacia una strada in questo settore come libera professionista, pur nella consapevolezza di quanto fosse diverso lo scenario e la sua relazione con l’arte.
E’ grazie al mio incontro con Elena Tammaro e Federica Manaigo e con l’Associazione ETRAR.T.E., di cui ora sono anche Presidente, che ho potuto realizzare in questi tre anni bellissimi progetti, basati sulla partecipazione e sulla creazione di reti territoriali: collaborando con istituzioni pubbliche e private, scuole, cooperative sociali, associazioni culturali, mettendo in relazione artisti professionisti e comunità stiamo realizzando progetti che, oltre alla produzione artistica, hanno un impatto in termini di promozione dell’inclusione sociale e del benessere psico-fisico delle persone, formazione, rigenerazione urbana, valorizzazione culturale e turistica dei luoghi.

… ho potuto realizzare in questi tre anni bellissimi progetti, basati sulla partecipazione e sulla creazione di reti territoriali: collaborando con istituzioni pubbliche e private, scuole, cooperative sociali, associazioni culturali, mettendo in relazione artisti professionisti e comunità stiamo realizzando progetti che, oltre alla produzione artistica, hanno un impatto in termini di promozione dell’inclusione sociale e del benessere psico-fisico delle persone, formazione, rigenerazione urbana, valorizzazione culturale e turistica dei luoghi.

Parallelamente, collaboro con enti di formazione e incubatori d’impresa come Friulinnovazione, occupandomi di project management culturale e di collaborazioni tra mondo della creatività e quello delle imprese cosiddette “tradizionali” (degli altri settori), lavorando per promuovere un riconoscimento del ruolo sociale degli artisti e delle loro competenze, punti di vista e metodi operativi che generano un valore, spesso non riconosciuto e valorizzato, per la comunità e le sue organizzazioni.”

 

 

Per chiudere un anticipo di quanto vedremo a settembre nella mostra di Riccardo Arena a Trieste contemporanea.

Lo spazio di Trieste Contemporanea accoglierà Effemeridi, una nuova produzione a cui Riccardo Arena sta lavorando da diversi mesi, risultato della residenza d’artista dislocata e diffusa in Regione che lo ha visto coinvolto da prima a durante le giornate del Festival.
Si tratta di una installazione su scala ambientale che dal centro dello spazio espositivo si allarga alle pareti dalla base fino alla loro sommità.

Si tratta di una installazione su scala ambientale che dal centro dello spazio espositivo si allarga alle pareti dalla base fino alla loro sommità.

L’artista parla di questo intervento come di un “diagramma spaziale”, un campo di forze astratte all’interno del quale il visitatore può entrare e nel camminare circondarsi di tracce, segni, orme temporali di varie scale e luoghi. A linee disegnate in relazione ai movimenti e ai suoni del Festival, come processi creativi o configurazioni di gesti, Riccardo Arena ne ha stratificati degli altri al fine di trascendere le specificità del contesto. Effemeridi visualizza il movimento, generale ma anche quello processuale del Festival, le tensioni fugaci ed effimere.

Effemeridi visualizza il movimento, generale ma anche quello processuale del Festival, le tensioni fugaci ed effimere.

 

 

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