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“Clessidre”

intervista
Reverie / Tempo

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Confinis
progetto a cura di Marco Tagliafierro

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In un gioco tra lessico, pensiero e sguardi si è svolto questo dialogo che potrebbe ai più sembrare, nei due nomi propri coinvolti, il sottotitolo dell’articolo stesso o quello per un volume di filosofia…

Reverie – Ti ho incontrato, Tempo, da bambina quando ho compreso il tuo valore e insieme il tuo essere effimero davanti al corpo morto, per me inaspettatamente, del mio nonno paterno.
A quell’epoca avevo sempre dato un peso agli attimi, un volto a ogni assenza apparente e anche alla noia, spontaneamente come si fa a quell’età… Gli amici ombra erano fatti di minuti vissuti nel fantasticare; gli abbracci mancati dei miei cari erano formati dalle storie che mi raccontavo durante le notturne buie attese di loro; mentre il viaggiare partiva sempre non soltanto dal percorso per raggiungere mete nazionali e internazionali in nome dell’arte, ma da una maratona di sogni a occhi aperti che mi accompagnava sin dai primi chilometri… Eri sempre stato presente ma ero talmente impegnata a riempirti che non ti percepivo. Formavo inconsciamente barriere per non fermarmi mai.
Mi sono cresciuta da sola e penso che questo fosse il mio modo di sopravvivere.
Quando ti ho riconosciuto ho preso consapevolezza.
È stato allora forse che mi sono data un tempo da vivere.

Mi sono cresciuta da sola e penso che questo fosse il mio modo di sopravvivere.
Quando ti ho riconosciuto ho preso consapevolezza.
È stato allora forse che mi sono data un tempo da vivere.

Reverie, “sogno fisico”, da “librosogni”, courtesy dell’artista e di Skira editore

Tempo – quel giorno eri non dovevi essere ma, come succede, niente accade per caso. All’inizio pensavo tu volessi evitarmi. Eri iperattiva, “superenergica” come gridavi in Giappone senza avere nemmeno dieci anni. Cercavi di fare il più possibile e non ti fermavi mai. La tua vita sembrava davvero un’avventura. Poi calava la notte e le tue paure non ti accendevano mai la luce.

Hai iniziato a trovare il tuo ritmo scrivendo e da quel momento mi hai aperto la porta e non ci siamo più lasciati. Hai sempre scritto sin dai cinque anni di età quando componevi poesie che lasciavano i più sorpresi e anche interdetti. E così la parola ci ha unito.
A oggi come descriveresti il tuo rapporto con questo mezzo di espressione?

Reverie – tutto per me parte dalla parola: quella scritta è il primo granello di sabbia che si insinua nella conchiglia del mio operare. La scrittura è base di ogni mio progetto, lavoro, opera, performance… è il nero su bianco, il colore di fondo di ogni mio attimo di Arte-vita.

tutto per me parte dalla parola: quella scritta è il primo granello di sabbia che si insinua nella conchiglia del mio operare. La scrittura è base di ogni mio progetto, lavoro, opera, performance… è il nero su bianco, il colore di fondo di ogni mio attimo di Arte-vita.

Reverie, “sogno fisico”, da “librosogni”, courtesy dell’artista e di Skira editore

Come hai notato ho sempre usato questo strumento come medium privilegiato sin da quando ho imparato a usarlo in modo personale. Con le prime poesie trattavo tematiche che non si confacevano a una bambina di cinque anni come la morte e il cogliere attimi. Ero solita spedirle al signor Giunti che in cambio mi regalava dei libri, pane quotidiano importante per la mia crescita. Ho provato poi a fare qualche gara di pittura ma sull’acquerello vinceva sempre la parola scritta. A oggi ritrovo tutta questa impostazione sia nel mio metodo di lavoro sia nel mio quotidiano: i miei “sogni di seta” non sono altro che scritture a mano (che io definisco cacografie) e che sembrano pareidolie da interpretare o pennellate con una loro forma, i miei “sogni fisici” sono grandi fotografie in bianco e nero che modifico attraverso la scrittura estemporanea e che per questo vivono senza il tempo dello scatto e della parola… e soprattutto quando intendo che l’operare parte dallo scrivere: ciascuna performance è nata da testi di varia natura, dalle favole ai testi teatrali, dalla prosa alla poesia, dalla canzone alla biografia…

Potrei quasi arrivare a dire che ho il sangue fatto di inchiostro. Assolutamente nero, non amo scrivere col blu.

Reverie, “sogno fisico”, da “librosogni”, courtesy dell’artista e di Skira editore

Tempo – … Hai citato i tuoi bianco e nero. Come definiresti il nostro rapporto con la fotografia?

Reverie – Fisico.
Come per ogni mia opera anche con la fotografia realizzo solo pezzi unici.
Sono esseri unici con un’identità ben precisa, misure precise, una loro essenza che è fatta di te.

Come per ogni mia opera anche con la fotografia realizzo solo pezzi unici.
Sono esseri unici con un’identità ben precisa, misure precise, una loro essenza che è fatta di te.

Non solo infatti le tirature di immagini delle performance sono da ricondurre all’impronta che dai tu abitandole in ogni istante, ma anche e soprattutto ogni immagine nasce dall’unione di attimi colta in un gesto di fiducia, in un buttarsi…
Vale così sempre sia per lo screenshot degli orari doppi che mi capita spesso più volte al giorno fino ai già citati “sogni fisici”: un cogliere l’attimo tra immagine e parola, che ho recentemente mostrato in un libro d’artista edito per Skira sotto il titolo di “librosogni”; fino alle immagini dei social che hanno vita breve che dopo ventiquattro ore si cancellano e formano quelle storie virtuali che sintetizzano le storie reali.
Voglio precisare una cosa prima di continuare a rispondere: la tua compartecipazione alla vita e all’opera non è semplicemente risolvibile nell’affermazione che “il tempo passa” quindi “è parte di”. Il tuo ruolo per me è fondamentale tanto quanto la ceramica, la cera, l’inchiostro, il foglio di carta, il tessuto, il pubblico che agisce, il gesto, la parola, il rumore, il canto, il verbo che sostiene le frasi, gli occhi che assorbono e colgono…
Sei invisibile ma sei iper-presente. Sei la materia di cui sono fatte le immagini più dell’inchiostro, più dell’immagine stessa, più dell’aria che respirano i soggetti coinvolti. Sei la scintilla che appicca l’incendio e io spero sempre di saper cogliere quel lampo.

la tua compartecipazione alla vita e all’opera non è semplicemente risolvibile nell’affermazione che “il tempo passa” quindi “è parte di”. Il tuo ruolo per me è fondamentale tanto quanto la ceramica, la cera, l’inchiostro, il foglio di carta, il tessuto, il pubblico che agisce, il gesto, la parola, il rumore, il canto, il verbo che sostiene le frasi, gli occhi che assorbono e colgono…
Sei invisibile ma sei iper-presente. Sei la materia di cui sono fatte le immagini più dell’inchiostro, più dell’immagine stessa, più dell’aria che respirano i soggetti coinvolti. Sei la scintilla che appicca l’incendio e io spero sempre di saper cogliere quel lampo.

Tempo – Grazie… Dai così tanto peso al mio corpo invisibile e questo mi lusinga profondamente… Riallacciandomi a questa tua riflessione, dici spesso che il materiale non soltanto delle performance ma dell’opera d’arte in generale sono io, e così lo è per tutti, indipendentemente dal grado di consapevolezza.

Tu come descriveresti la mia presenza nel tuo nel lavoro in relazione alle performance e alla produzione di opere fisiche?

Reverie: ho solo velocemente citato in precedenza l’immagine della perla e della conchiglia. Si tratta per me di quello che i più chiamerebbero statement. E anche in questa simbologia tu sei iper- presente.
L’opera ha una sua estetica e ancora prima di iniziare il processo di creazione; è come se questa mi apparisse in sogno per raccontarsi e descriversi. Per arrivare a realizzarla nella sua autonomia di corpo e presenza, il mio procedere è come il granello di sabbia che infrange l’equilibrio della conchiglia e sedimenta e muta fino a diventare perla: la mia quotidianità sporca, la mia ricerca e studio e impegno costante in parallelo alla mera esistenza fatta di sveglie notturne, cucinate, abbuffate, incontri, relazioni e solitudini, viaggi, rose, canto, operare per gli altri, lavoro sul sé, documentare sempre etc sono le fasi mischiate che scandiscono questa trasformazione. Dal banale alla perfezione della perla: l’opera raggiunge così la sua nascita e autonomia attraverso questa crescita di vita in simbiosi con le mie mani.
Dalla rottura dell’equilibrio, ferita e malattia dell’ostrica, fino alla genesi estetica della perla tu ci sei sempre. Ti paragonerei al granello di sabbia e questo mi porterebbe a… ma non voglio divagare. Io procedo per cicli di lavoro.
Ogni performance, opera, progetto fa parte di un determinato periodo legato a un tema che ho deciso di approfondire. Attualmente mi sto dedicando a quello del sogno, precedentemente si trattava dei “Sacramenti Atei”, e sto già mettendo le basi teoriche per il prossimo… Per svilupparlo, anche il singolo macro-tema viene indagato in un movimento ad anello: inizio dalla stesura di testi che portano all’ideazione di una performance, punto nevralgico e centrale, ovvero un momento di vita vera che condividerò col pubblico e per il pubblico; per raggiungere questo primo obbiettivo realizzo sia tutti i materiali, dall’abito all’audio fino alle più complesse strutture e allestimenti, e tutta una serie di opere che servono solo a portare avanti il viaggio verso questo momento di incontro… si tratta di lavori autonomi non necessariamente legati all’azione, ma che raccontano questo procedere e lo scandiscono. A fine performance poi sintetizzo in ulteriori opere fisiche.

Reverie, “sogno fisico”, da “librosogni”, courtesy dell’artista e di Skira editore

In generale, sia le opere in progress che quelle di sintesi, e anche i lavori non legati alle singole performance sono tutti pezzi unici e non mi sono mai posta nessun limite di materiale, strumento, dimensione, tecnica: recentemente infatti ho dato vita, ad esempio, a una serie di “Icaro contemporaneo” verso un lavoro che vedrà la luce a Napoli e l’ho fatto attraverso sculture in cera e chiodi a grandezza umana, opere in tessuto come un paracadute della guerra modificato a mano.

E poi a questo ciclico procedere non c’è mai idealmente fine: la fruizione del pubblico dell’opera è un nuovo modo per aprire un nuovo cerchio.

Tempo – E adesso a quali opere di sintesi stai lavorando?

Reverie – Andrò in ordine cronologico.
Per quanto riguarda le opere di sintesi sto portando avanti quella relativa a “Sogno 2: The sleeping muse” ovvero un disco d’artista contenente dieci brani scritti da me col materiale onirico del pubblico e musicati da sette diversi compositori, coi quali collaboro da mesi per realizzare un’opera che sia davvero lo specchio elettromagnetico socialmente più vasto possibile; e quella relativa a “Sogno 3: la camera degli specchi” legata alla mia performance più recente alla Triennale di Milano di cui al momento non rivelerò altro. Mentre il 16 luglio a Montelupo, in occasione della Festa della Ceramica, porterò il “Sogno 4: alba lunare”, un incubo che diventerà una collettiva promessa di rinascita esorcizzata attraverso la distruzione e poi la costruzione di una nuova Luna. L’opera di sintesi di quest’ultima performance sarà poi acquisita dal Museo della città e di questo sono estremamente felice poiché sono legata col cuore – e non solo con le mani e il mio operare – al luogo in cui riesco a dare corpo ai miei sogni realizzandoli appunto in ceramica…
In parallelo ho appena ultimato nuove sculture e nuove opere legate a un progetto che vedrà la luce nell’autunno prossimo mentre non mi fermo con la realizzazione di nuovi “oggetti da sogno”, “sogni fisici”, scritture e dialoghi importanti… si capisce che c’è altro ma che non te lo posso ancora raccontare?

Tempo – Aspetterò.

Tempo –  … E ora dove mi collochi nella tua vita?

Reverie – ripenso a quello che hai detto all’inizio di me da bambina ovvero che sembravo evitarti da quanto ero impegnata a riempire il mio vivere per non fermarmi mai. Ma poi anche quando arrivava il riflettere intenso non era mai passività.
A oggi mi ritrovo in questo stato e intento come se avessi bisogno di agire nel medesimo modo per sentirti e così scandisco i giorni tra il mangiare la vita, esercitare la vita, scrivere la vita, lavare la vita, pensare la vita, sognare la vita, leggere la vita, incontrare la vita… sempre attivamente.
Anche se sono consapevole che sei sempre con me, corpo amico. Forse, se dovessi esattamente collocarti in una precisa posizione spaziale, direi che sei il più vicino possibile a me ma sopra la mia testa: fai da parallelo alla forza di gravità e mi racconti il mio istante senza condizionarmi sul futuro, senza rimproverarmi sul passato ma esortandomi al presente.

Forse, se dovessi esattamente collocarti in una precisa posizione spaziale, direi che sei il più vicino possibile a me ma sopra la mia testa: fai da parallelo alla forza di gravità e mi racconti il mio istante senza condizionarmi sul futuro, senza rimproverarmi sul passato ma esortandomi al presente.

Tempo – Pur di sembrare eccessivamente ego-riferito, ci tengo a farti questa domanda, anche se mi scuso in anticipo perché mi rendo conto della ridondanza nel parlare di me in questa intervista… Eppure, insisto perché penso che attraverso di te possano nascere riflessioni interessanti. Torniamo al granello di sabbia.

Hai realizzato un uroboro di ceramica derivante da tuoi incubi per chiamarlo come tutti i tuoi “oggetti da sogno” ma affermi sempre con convinzione che per te io non sono ciclico. Cosa sono io per te? Come sono io per te? Come mi descriveresti?

Reverie – adesso risponderò guardandoti negli occhi.

Ho creato quel preciso “oggetto da sogno” a seguito di un incubo in cui questo animale mitologico allo stesso tempo mi abbracciava e mi soffocava. Non ho mai risolto l’enigma e non ho mai condiviso la simbologia mitologica di questo essere seppur riconoscendola intrigante e studiandola approfonditamente.

Ho realizzato una serie di uniche “Clessidre senza Tempo” e per me questo è ciò che tu sei. Una forma a uovo (che ricorda la radice materna del nostro vivere ma non solo questo); in vetro finissimo accoglie contenuti diversi: i “quattro elementi”, “le parole che non ti ho mai detto”, “il passato mai vissuto”, “il riflesso di un futuro che non accadrà”… ma ciascuna, indipendentemente dai sottotitoli sei tu.

Clessidre senza Tempo” e per me questo è ciò che tu sei. Una forma a uovo (che ricorda la radice materna del nostro vivere ma non solo questo); in vetro finissimo accoglie contenuti diversi: i “quattro elementi”, “le parole che non ti ho mai detto”, “il passato mai vissuto”, “il riflesso di un futuro che non accadrà”… ma ciascuna, indipendentemente dai sottotitoli sei tu.

Reverie, “Clessidra senza tempo”, opere uniche, materiali diversi, foto C. Coppo, 2020

Sono impossibili poiché è apparentemente impossibile usarle come una comune clessidra e la ragione è la seguente: Tempo è corpo, una persona fisicamente presente nelle nostre vite con cui relazionarsi costantemente, non potrà tornare né ripetersi, azioni impossibili per ogni essere vivente, non potrà fermarsi, cambierà… ma a differenza di noi viventi non potrà morire. Sei l’osservatore onirico di ciascuna esistenza, un Giano contemporaneo, cinico, sincero, colto… Con te posso parlare di tutto: dalle mie ossessioni agli innamoramenti-tematici momentanei.

Se Arte è la donna che ho sposato, tu sei sicuramente il mio miglior amico.

Tempo – Cosa ne pensi del futuro, dei posteri, del mondo che verrà… tu che per arrivare a una performance lavori due anni intensi portando avanti nuove opere in divenire ma che hai una lungimiranza organizzativa, pratica, di esistenza? Tu che non puoi avere figli? Tu che non vuoi averne? Tu che hai un cancro sotto costante controllo? Tu che ti perdoni il tuo passato ma che ancora riesci a essere così forte perché non hai mai voluto dimenticare, come un memento, gli abusi, le ferite, le lotte e le morti mancate che hai attraversato? E soprattutto tu che da una parte del mondo dell’arte sei definita “giovane artista” ma che per l’alto numero di opere prodotte e impegno intenso non saresti semplicemente etichettabile come altri “giovani” che alla tua età hanno all’attivo rispetto a te un numero più limitato di lavori e di esperienze importanti?

Reverie – non risponderò alle polemiche intrinseche o alle riflessioni intime che tante parentesi aprirebbero queste tue domande, ma ti darò un’immagine.
Se dovessi rappresentare il mio futuro adesso sarebbe una strada ben definita che procede nella nebbia più assoluta. Non so la sua lunghezza, non riesco a vedere ciò che la delimita ma sono consapevole che devo percorrerla e continuare a farlo con passo dopo passo sicuro perché per me non esistono altre strade anche se si può sempre tornare indietro.

Se dovessi rappresentare il mio futuro adesso sarebbe una strada ben definita che procede nella nebbia più assoluta. Non so la sua lunghezza, non riesco a vedere ciò che la delimita ma sono consapevole che devo percorrerla e continuare a farlo con passo dopo passo sicuro perché per me non esistono altre strade anche se si può sempre tornare indietro.

Reverie – Una domanda vorrei fartela io. Se ti guardi allo specchio, caro amico, come ti descriveresti adesso?

Tempo – avrei preferito descrivere te ma risponderò a partire da questi ultimi due anni.
Nel primo periodo dello scoppiare della recente pandemia mondiale e del primo lockdown ero cieco, vedevo solo bianco, come giustamente mi dicevi tu: “come in un mare di latte in cui si percepisce la luce alla fine del tunnel ma non si riesce a vedere niente”. Nel procedere poi sono arrivato un anno dopo a sentirmi impotente e immobile come in perenni sabbie mobili da cui si cerca di correre via ma più è impegnativo lo sforzo e più si rischia di venir risucchiati…
A oggi la mia personale definizione di me è in divenire: è un diario di specchi ma tu questo lo sai già.

Reverie – vuoi dire che hai preso spunto dal mio attuale progetto del diario di specchi? Guarda Tempo quella è una mia opera e la porterò avanti per un anno intero.

Tempo – non mi permetterei mai.
Era solo un’immagine fatta di te, non solo di attimi, non solo di me…