Raffaello Galiotto. La pietra come organismo vivente

Raffaello Galiotto, Pristis, 2023, © Raffaello Galiotto | photo © Studio Galiotto

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— Giulia Bonafini
per gentile concessione di Exibart —

 

Nel cortile del Museo Lapidario Maffeiano, Raffaello Galiotto ha messo in scena un incontro inatteso tra pietra antica e scultura tecnologica. La mostra Axis mundi, da poco conclusa, ha trasformato il museo all’aperto in un laboratorio di metamorfosi percettive. Le sue tredici opere continuano a interrogare lo spazio e il tempo, rivelando la pietra come un organismo vivo e inquieto.

 

Raffaello Galiotto, “Transizione VII”, 2025. Mostra “Axis mundi”, Museo Lapidario Maffeiano, Verona, 23.09 –12.10.2025 © Raffaello Galiotto — foto tutti diritti riservati

 

C’è qualcosa di sorprendentemente vivo nel modo in cui Raffaello Galiotto tratta la pietra. La mostra Axis mundi, ospitata nel cortile del Museo Lapidario Maffeiano di Verona dal 23 settembre al 12 ottobre 2025, è ormai archiviata, ma l’eco delle tredici opere presentate continua a risuonare, soprattutto per il modo in cui l’artista-designer vicentino ha fatto collidere tecnologia e materia, memoria e immaginazione, lasciando emergere una scultura che sembra arrivare da un tempo altro.

È questo dialogo serrato tra passato e contemporaneità che il curatore Alfonso Cariolato identifica come “una feconda interazione tra la massiccia presenza di un passato vivente e un’opera lapidea che si muove tra configurazioni organiche, raffinatezza di proporzioni ed eleganti simmetrie”. La cornice del Lapidario Maffeiano non è un semplice scenario, bensì un interlocutore. Il cortile settecentesco, attraversato da un camminamento a croce che divide in quattro il prato, è un microcosmo di pietre-antologia: epigrafi, frammenti sepolcrali, urne, basamenti, pietre miliari. È un archivio all’aperto che racconta strati di vita e di morte. Cariolato lo definisce un “Albero della vita” o un “Asse del mondo” su cui irrompono le sculture di Galiotto, capaci non di mimetizzarsi ma di “rimarcare, svigorire o complicare” quel piano assiale per generare nuove corrispondenze percettive.

 

Raffaello Galiotto, “Proto III”, 2022, marmo Palissandro Oniciato, 160 x 21,5 x 92 cm © Raffaello Galiotto — foto © Studio Galiotto

 

In questo contesto, le opere di Galiotto agiscono come corpi atipici, entità autonome che sfiorano il biomorfo senza mai cadere nell’illustrazione naturalistica.
L’artista stesso dichiara di essere affascinato da “forme strutturali ambigue, a cavallo tra il regno animale e quello vegetale, che alludono alla polpa del corpo e alla sembianza da esse stesse sottesa”. Questa ambiguità è una chiave fondamentale: non si tratta di imitare la natura, ma di evocare qualcosa della sua logica interna, delle sue tensioni, dei suoi ritmi.

La trilogia Proto (I, II, III) è tra i gruppi più emblematici in questo senso. Disposti in linea retta, sembrano “eseri alati che tolgono pesantezza alla pietra” nel tentativo di spiccare un volo sempre sul punto di compiersi e sempre rimandato. Le superfici sottili, le cavità, le nervature suggeriscono un’anatomia possibile, o forse una paleontologia immaginaria: creature che emergono dal suolo come reperti di un mondo che non c’è mai stato e che pure appare perfettamente plausibile.

La dialettica tra ordine e perturbazione attraversa anche le coppie Axialis (I, II) e Symmetric (II, III). Le prime giocano sulla corrispondenza tra l’asse centrale della scultura e quello del cortile, trasformando buchi, curvature e ondulazioni in una sorta di grammatica strutturale che dialoga con l’architettura circostante. Le seconde forzano la simmetria fino a un punto limite: Symmetric II come un nodo gordiano levigato, Symmetric III come una replica quasi “barbara” nella sua esattezza insistita, una classicità imitata fino allo spasimo, come nota Cariolato.

 

Raffaello Galiotto, “Symmetric III” (dettaglio), 2019, marmo Avorio Venato, 83 x 23,5 x 93 cm © Raffaello Galiotto — foto © Studio Galiotto

 

Tra le opere più compatte e introverse ci sono Opuntia e Cynara, nominate come due essenze vegetali eppure completamente scardinate dalla dimensione botanica. Gli involucri rigidi sembrano proteggere cavità segrete, con un’aura che ricorda “la gravezza del Mausoleo di Teodorico”. È una vegetazione minerale che si sottrae allo sguardo, che richiama un’idea di crescita trattenuta, di un interno inaccessibile, una sorta di organismo-fortezza.

All’opposto, Virgo si gioca su un registro di vulnerabilità e trasparenza: un sottilissimo velo lapideo sospeso tra luce e ombra, una membrana che permane nonostante pieghe, lacerazioni, tensioni. Cariolato la descrive come un limite “tra interno ed esterno”, un confine che si espone e si sottrae al tempo stesso, mostrando “un’improbabile parete membranosa della pietra”.

Ci sono poi opere che esplorano la pietra come soglia spaziale. Transizione VII si apre come un ventaglio inciso, e ciò che colpisce è la sottigliezza dell’epidermide delle sue lame minerali, quasi impossibile da credere se non la si vede da vicino. Pristis gioca sull’idea della punta, della freccia, trasformata però in una curva dinamica che suggerisce la flessione dello spaziotempo. Calice è un vortice materico: solchi, grinze, zone di densità che rendono “magmatica” la forma perfetta del cerchio scavato al suo interno.

 

Raffaello Galiotto, “Calice”, 2025. Mostra “Axis mundi”, Museo Lapidario Maffeiano, Verona, 23.09 –12.10.2025 © Raffaello Galiotto — foto tutti diritti riservati

 

Se c’è un elemento che attraversa l’intero progetto di Galiotto, è il suo modo unico di utilizzare la tecnologia. Non come semplice strumento, ma come estensione del pensiero creativo. Le sue sculture, infatti, nascono da processi di lavorazione robotica da lui stesso progettati, capaci di portare la pietra a “spessori talmente sottili da influenzare la percezione della luce e del colore”. La tecnologia non cancella la materia, anzi la rivela nelle sue potenzialità più inattese. È forse per questo che, osservate da lontano, le opere nel cortile del Lapidario potevano evocare “una teoria di betili”, un allineamento arcaico come quelli del Vicino Oriente o della Sardegna, pur senza alcuna intenzione citazionista diretta. In realtà, ciò che la mostra metteva in scena era una sorta di reciproca destabilizzazione: le sculture contemporanee che diventano improvvisamente antiche, le pietre archeologiche che sembrano aprirsi alla possibilità di un futuro diverso.

Cariolato parla di “reciproca espropriazione”, di un contatto in cui “la stessa nozione di contemporaneità subisce una scossa”. E su questo punto Axis mundi ha lasciato un segno preciso. Galiotto ci ricorda che la pietra non è mai solo un materiale, ma un deposito di tempo, un organismo geologico che continua a parlare. La sua opera, nella sua apparente quiete minerale, è in realtà un continuo movimento del pensiero: un attraversamento degli assi che collegano il passato al presente, la natura alla tecnica, il corpo alla forma.

 

Raffaello Galiotto, “Axialis I” e “Axialis II”, 2025. Mostra “Axis mundi”, Museo Lapidario Maffeiano, Verona, 23.09 –12.10.2025 © Raffaello Galiotto — foto tutti diritti riservati

 

In fondo, vedere le sue sculture nel cortile del Lapidario significava accettare che la pietra possa ancora sorprenderci. Che possa essere leggera, membranosa, trasparente, radicalmente contemporanea. Che possa vibrare. E che, come scriveva Roger Caillois, possa continuare a lasciar “scivolare sulla propria superficie il tempo”. In questo scivolamento, Galiotto trova il suo luogo: un asse del mondo che non è stabile né definitivo, ma vivo, mobile, sempre in trasformazione.

 

www.galiottodesign.it

 


 

— Giulia Bonafini
with the kind permission of Exibart —

 

In the courtyard of the Maffeiano Lapidary Museum, Raffaello Galiotto staged an unexpected encounter between ancient stone and technological sculpture. The exhibition Axis mundi, recently concluded, transformed the open-air museum into a laboratory of perceptual metamorphoses. His thirteen works continue to question space and time, revealing stone as a living and restless organism.

 

Raffaello Galiotto, exhibition “Axis mundi”, Lapidario Maffeiano Museum, Verone, 23.09 –12.10.2025 © Raffaello Galiotto — photo all rights reserved

 

There is something surprisingly alive in the way Raffaello Galiotto works with stone. The exhibition Axis mundi, hosted in the courtyard of Verona’s Maffeiano Lapidary Museum from September 23 to October 12, 2025, is now closed, yet the echo of the thirteen works presented continues to resonate—above all for the way the Vicenza-born artist-designer brought technology and matter, memory and imagination into collision, allowing a sculpture to emerge that seems to come from another time.

It is this intense dialogue between past and contemporaneity that curator Alfonso Cariolato identifies as “a fertile interaction between the massive presence of a living past and a lapidary work that moves among organic configurations, refined proportions, and elegant symmetries.”

The setting of the Maffeiano Lapidary is not a mere backdrop but an interlocutor. The eighteenth-century courtyard, crossed by a cruciform walkway that divides the lawn into four sections, is a microcosm of stone-anthology: inscriptions, sepulchral fragments, urns, bases, milestones. It is an open-air archive that recounts layers of life and death. Cariolato describes it as a “Tree of Life” or a “World Axis” upon which Galiotto’s sculptures erupt—not to camouflage themselves, but to “underline, weaken, or complicate” that axial plane in order to generate new perceptual correspondences.

 

Raffaello Galiotto, exhibition “Axis mundi”, Lapidario Maffeiano Museum, Verone, 23.09 –12.10.2025 © Raffaello Galiotto — photo all rights reserved

 

In this context, Galiotto’s works act as atypical bodies, autonomous entities that brush against the biomorphic without ever falling into naturalistic illustration. The artist himself declares that he is fascinated by “ambiguous structural forms, straddling the animal and vegetal realms, which allude to the flesh of the body and to the semblance implied within them.” This ambiguity is a fundamental key: it is not about imitating nature, but about evoking something of its inner logic, its tensions, its rhythms.

The Proto trilogy (I, II, III) is among the most emblematic groups in this sense. Arranged in a straight line, they resemble “winged beings that lift heaviness from the stone” in an attempt to take flight—always on the verge of happening, yet always deferred. The thin surfaces, cavities, and ribbing suggest a possible anatomy, or perhaps an imaginary paleontology: creatures emerging from the ground like relics of a world that never existed and yet appears perfectly plausible.

The dialectic between order and disturbance also runs through the pairs Axialis (I, II) and Symmetric (II, III). The former play on the correspondence between the central axis of the sculpture and that of the courtyard, transforming holes, curvatures, and undulations into a kind of structural grammar that converses with the surrounding architecture. The latter push symmetry to its breaking point: Symmetric II like a polished Gordian knot, Symmetric III like an almost “barbaric” replica in its insistent exactness—a classicism imitated to the point of exhaustion, as Cariolato observes.

 

Raffaello Galiotto, “Symmetric II” (detail), 2025, Palissandro Reale marble, 30 x 45 x 6,5 cm © Raffaello Galiotto — photo © Studio Galiotto

 

Among the most compact and introverted works are Opuntia and Cynara, named after two plant essences yet completely uprooted from the botanical dimension. Their rigid shells seem to guard secret cavities, with an aura reminiscent of “the gravity of Theodoric’s Mausoleum.” It is a mineral vegetation that withdraws from the gaze, evoking an idea of restrained growth, of an inaccessible interior—a kind of fortress-organism.

By contrast, Virgo plays on a register of vulnerability and transparency: an ultra-thin stone veil suspended between light and shadow, a membrane that endures despite folds, lacerations, and tensions. Cariolato describes it as a threshold “between inside and outside,” a boundary that both exposes itself and withdraws at the same time, revealing “an improbable membranous wall of stone.”

There are also works that explore stone as a spatial threshold. Transizione VII opens like an incised fan, and what strikes the viewer is the thinness of the epidermis of its mineral blades — almost impossible to believe unless seen up close. Pristis plays on the idea of the point, of the arrow, transformed instead into a dynamic curve that suggests the bending of spacetime. Calice is a material vortex: furrows, wrinkles, zones of density that render “magmatic” the perfect form of the circle hollowed within it.

 

Raffaello Galiotto, “Pristis”, 2023, Green Lime marble, 194 x 54 x 21,5 cm © Raffaello Galiotto — photo © Studio Galiotto

 

Raffaello Galiotto, “Transizione VII”, 2025, Palissandro Reale marble, 74,5 x 41 x 7,5 cm © Raffaello Galiotto — photo © Studio Galiotto

 

If there is one element that runs through Galiotto’s entire project, it is his unique way of using technology — not as a mere tool, but as an extension of creative thought. His sculptures, in fact, are born from robotic processes he himself designed, capable of bringing stone to “thicknesses so thin as to influence the perception of light and color.” Technology does not erase matter; on the contrary, it reveals its most unexpected potential. Perhaps this is why, when viewed from afar, the works in the Lapidary courtyard could evoke “a theory of betyls,” an archaic alignment like those of the Near East or Sardinia, though without any direct citationist intent. In reality, what the exhibition staged was a kind of reciprocal destabilization: contemporary sculptures that suddenly become ancient, archaeological stones that seem to open themselves to the possibility of a different future.

Cariolato speaks of “reciprocal expropriation,” of a contact in which “the very notion of contemporaneity is shaken.” And on this point Axis mundi left a precise mark. Galiotto reminds us that stone is never just a material, but a deposit of time, a geological organism that continues to speak. His work, in its apparent mineral stillness, is in fact a continuous movement of thought: a crossing of the axes that connect past to present, nature to technique, body to form.

 

Raffaello Galiotto, “Axialis II”, 2025. Exhibition “Axis mundi”, Lapidario Maffeiano Museum, Verone, 23.09 –12.10.2025 © Raffaello Galiotto — photo all rights reserved

In the end, seeing his sculptures in the Lapidary courtyard meant accepting that stone can still surprise us. That it can be light, membranous, transparent, radically contemporary. That it can vibrate. And that, as Roger Caillois once wrote, it can continue to let “time slip across its surface.” In this slipping, Galiotto finds his place: an axis of the world that is neither stable nor definitive, but alive, mobile, always in transformation.

 

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