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Nel cuore di Venezia, a Palazzo Soderini, Roberta Orio Studio apre il suo personale spazio di ricerca per ospitare gli sguardi, i linguaggi e il lavoro di amici artisti, fotografi, scrittori. Uno spazio informale dove far circolare le idee e le parole, un luogo aperto al confronto e alla collaborazione modulato su tre macro momenti di incontro: A porte aperte, In mostra e Parlami di te.

“Lo Studio Roberta Orio è un luogo fisico e non solo: è il mio spazio, dove realizzo i miei scatti fotografici, ma che dedico anche a quelle esperienze che mi hanno profondamente formata, regalandomi visioni di intenso piacere, pienezza, senso, progetto, vita. Niente regole, nessun allineamento, se non al piacere di stare insieme per ciò che siamo, per quello che facciamo, ma soprattutto per come ci poniamo. Se dovessi pensare a una linea curatoriale, immaginerei quella del tempo, che porta con sé esperienze sempre nuove, selezionandosi da sole. Un po’ come faccio con le mie fotografie: salvo quelle che ritengo interessanti, mentre le altre le archivio.”

 

 

Perché hai sentito la necessità di aprire, oggi il tuo spazio di lavoro e ricerca personale?

Più che la necessità è la realizzazione di un sogno che coltivo da moltissimi anni. Diciamo che l’età, quella professionale intendo, aiuta molto. Nel tempo ho costruito relazioni con le persone più diverse, con molte di queste si è creato un profondo rapporto di stima e di affetto. I sogni, anche se li lasci nel cassetto, li puoi alimentare comunque e così ho deciso di aprire questo cassetto e di dare vita al mio progetto. Certo, lo stimolo è la voglia di incontrare, di vedere, di toccare, di ascoltare tutto ciò che nel corso degli anni gli artisti, i creativi, gli intellettuali con i quali ho stabilito il contatto, hanno creato; per condividerlo, per farlo diventare anche parte di questa esperienza. Sento il bisogno di riprendermi la mia libertà di relazione con gli altri, li voglio incontrare, toccare con mano, sedermi intorno a un tavolo a chiacchierare dei progetti nostri e di altri, costruire, si costruire progetti, relazioni, condivisioni. Mi rendo conto che il trend non è questo, ma sono abituata a nuotare contro corrente, e facendolo, ho scoperto che la corrente in realtà sei tu a sceglierla. Sono io che decido in quale posto voglio stare, certo la vita ti deve aiutare, ma se il momento è giusto te ne accorgi subito perché non c’è sforzo, nessuna fatica, solo leggerezza.

Il programma culturale 2025 dichiara una linea curatoriale chiara e una partenza con il piede giusto. Come è stato recepito il tuo invito?

Tutto è avvenuto in modo molto naturale; la mia linea curatoriale sono i rapporti che negli anni ho costruito con le persone che stimo e con le quali condivido pensieri e ideali. L’anno scorso, quando ho inaugurato lo studio, in occasione della Venice Glass Week, con la mostra “La linea del fuoco”, il mio obiettivo per era realizzare tre eventi nel 2025. In calendario oggi ce ne sono sei, quindi direi che il mio invito è stato molto ben recepito, tanto che sto già lavorando alla programmazione per il 2026. L’intento è scardinare questa modalità del mordi e fuggi, come se fossimo tutti senza ossigeno, alla ricerca di ricariche per non soffocare e di contrappormi alla ormai molto radicata abitudine di usare i social come esperienza. E questo forse è stato lo stimolo vero che mi ha fatto aprire il famoso cassetto di cui accennavo nella mia risposta precedente. Per un attimo ho pensato che ho uno studio con uno spazio interessante, in un palazzo storico, nella città più bella del mondo, nel cuore di Venezia, tra San Marco e la Biennale. Cosa potevo chiedere di più?

Cosa ti aspetti da questa nuova fase del tuo lavoro?

Mi aspetto, più che altro sogno, relazioni, scambi culturali, progetti, giovani curiosi, coetanei e colleghi generosi nel raccontarsi… l’aspettativa frega sempre! I maestri che ho avuto la fortuna di incontrare mi hanno insegnato che il progetto è a 360 gradi. Ognuno di noi è il proprio progetto e la qualità è ciò che lo rende possibile.
Tornando alla tua domanda, non ho delle aspettative in particolare, ho imparato che per avere devi lavorare, devi fare più che parlare e quindi mi occupo di fare quello che mi piace, quello in cui credo, di portare avanti quello che ho costruito nel corso degli anni. L’esperienza e la maturità aiutano la determinazione, selezionano il focus nell’obiettivo, poi il resto lo fanno anche gli altri.

Sai già cosa verrà dopo?

Come ti accennavo prima, sto già lavorando alla programmazione per il 2026.
Non ho ancora confermato il programma, ma quello che so per certo è che ci saranno nuove attività oltre agli incontri, alle presentazioni e alle mostre.
Sto valutando le idee che ho e quelle che mi sono state proposte. Diciamo che conto di avere una risposta più precisa per fine settembre.

Due parole sullo spazio.
Un luogo intimo perché potrebbe essere un appartamento, al piano, luminoso e con pochi ma forti pezzi di design. Perché lo hai scelto?

E’ il mio spazio; era da molti anni, in periodi discontinui, lo utilizzavo come studio, ha una luce pazzesca e per alcune mie ricerche fotografiche o per certi lavori, questo tipo di luce è perfetta. Poi ho scelto! Ho pensato che era il momento giusto. Della serie: o adesso o mai più. I pezzi di design raccontano un po’ la mia storia, da dove vengo. La mia famiglia si è sempre occupata di design, sono cresciuta giocando con i giochi di Bruno Munari e correndo tra i progetti di Enzo Mari, Achille Castiglioni, Gaetano Pesce, giusto per citarne alcuni. Grazie a mio padre, alcuni di questi ho avuto il privilegio di conoscerli, per poi incontrarli nuovamente durante i miei anni milanesi (dall’88 al 2000). Sono lezioni, insegnamenti che ti rimangono per tutta la vita. Il mio maestro AG Fronzoni ci portava spesso negli studi di questi grandi designer ed era come essere parte di una grande famiglia o meglio, di un grande progetto, che solo la passione può far nascere. Ecco, forse il mio sogno nasce qui, dal desiderio di ritrovare quell’energia, quella atmosfera, quella cultura, quel modo.

I pezzi di design sono parte del DNA della tua storia familiare. Non ti sei mai sentita attratta dal proseguire su quella strada: progettazione, interior…?

Per un brevissimo periodo della mia vita ho provato, ho anche progettato degli oggetti, ricordo in particolare una sedia con tre gambe, ero influenzata da Memphis. Sottsass, Mendini, De Lucchi che erano per me dei grandi riferimenti di avanguardia. Sottsass l’ho poi abbandonato, quando ha lasciato Fernanda Pivano, il mio mito letterario. Dopo, la fotografia ha avuto la meglio; non so se siamo veramente noi a scegliere o se è la vita che ci porta dove dobbiamo andare. Credo però molto di più nella seconda ipotesi.

 

 

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In the heart of Venice, at Palazzo Soderini, Roberta Orio Studio opens her personal research space to host the looks, languages and work of artist friends, photographers and writers.
An informal space where ideas and words can circulate, a place open to confrontation and collaboration modulated on three main moments: A porte aperte, In mostra and Parlami di te.

“Studio Roberta Orio is both a physical and conceptual space — my space — where I take my photographs, but also a place I dedicate to the experiences that have profoundly shaped me, offering me visions of deep pleasure, fulfillment, meaning, creativity, and life itself. No rules, no alignment —except for the pleasure of being together for who we are, for what we do, but above all, for how we present ourselves. If I had to imagine a curatorial line, I would envision that of time, which always brings new experiences, selecting itself naturally. Just like I do with my photographs: I keep the ones I find interesting, while I archive the others.”

 

 

Why did you feel the need to open your own personal space for work and research?

It has been a dream of mine for many, many years, rather than a necessity. Let’s say that age, by which I mean professional age, helps a lot. Over time, I have made connections with a wide range of people, in many cases forging a relationship of profound esteem and affection. Even if dreams are put in a drawer, they can still be nurtured and so, eventually, I decided to open this drawer and devote my life to my project. The motivation was the desire to meet, to see, to touch, to listen to everything created over the years by the artists, the creative people, the intellectuals with whom I have established contact in order to share it, to make it part of this experience. I feel the need to take back my freedom to relate to others, I want to meet them, touch them, sit around a table and chat about our own projects and those of others, to build, yes build projects, relationships and sharing. I realize that this goes against the trend, but I am used to swimming against the current, and in doing so, I have found that you can actually choose your current. I am the one who decides where I want to be, of course life has to help you, but you can tell right away when the time is right because there is no effort, no fatigue, just lightness.

The 2025 Cultural Programme lays down a clear line on curation and starting on the right foot. How was your invitation been received?

Everything happened very naturally; my line on curation is the relationships I have built over the years with people I respect and with whom I share thoughts and ideals. Last year, when I opened the studio, during Venice Glass Week, with the exhibition “The Line of Fire,” my goal was to stage three events in 2025. Now there are six events in the calendar, so I would say that my invitation has been very well received, so much so that I am already working on planning for 2026. The intention is to move away from this hit-and-run mode, as if we all lack oxygen, searching for refills so we don’t suffocate, and to counteract the very ingrained habit of using social media as an experience. And that was perhaps the real stimulus that made me open the famous drawer I mentioned in my previous answer. I thought for a moment that I have a studio with an interesting space, in a historic building, in the most beautiful city in the world, in the heart of Venice, between San Marco and the Biennale. What more could I ask for?

What do you expect from this new phase of your work?

More than anything else, I expect dreams, relationships, cultural exchanges, projects, curious young people, peers and colleagues who are generous in telling their stories… expectation always matters! The teachers I have been lucky enough to meet have taught me that the project is across-the-board. Each of us is our own project, and quality is what makes it possible.
Going back to your question, I don’t have any particular expectations, I’ve learned that to get what you want, you have to work, you have to do more than talk, and so I’m in the business of doing what I like, what I believe in, carrying on what I’ve built up over the years. Experience and maturity help determination, they choose the focus on the goal, then others do the rest.

Do you already know what will come next?

As I mentioned earlier, I am already working on planning for 2026.
I haven’t confirmed the programme yet, but what I know for sure is that there will be new activities in addition to the meetings, presentations and exhibitions.
I am evaluating the ideas I have and those that have been proposed to me. Let’s say I expect to have a more precise answer by the end of September.

A word or two about the space. An intimate place that could be an apartment, bright with a few but strong design pieces. Why did you choose it?

It’s my space; it had been for many years, intermittently. I was using it as a studio, it has incredible light and this kind of light is perfect for some of my photographic research or certain works. Then I decided! I thought it was the right time. For the series, it was now or never. The design pieces tell a bit of my story, where I come from. My family has always been involved in design, I grew up playing with Bruno Munari’s toys and running through the designs of Enzo Mari, Achille Castiglioni, Gaetano Pesce, to name but a few. Thanks to my father, I had the privilege of meeting some of them, and then meeting them again during my years in Milan (from ’88 to 2000). They are lessons, teachings that stay with you for a lifetime. My teacher AG Fronzoni often took us to the studios of these great designers and it was like being part of a big family or rather, a big project, which only passion can create. Maybe my dream arose from that, from the desire to find that energy, that atmosphere, that culture, that way.

The design pieces are part of the DNA of your family history. Have you ever felt drawn to that path: design, interior…?

For a very short period of my life I tried, I also designed objects, I remember in particular a chair with three legs, I was influenced by Memphis, Sottsass, Mendini, De Lucchi who were great avant-garde references for me. I later abandoned Sottsass when he left Fernanda Pivano, my literary ideal. After that, photography got the better of me. I don’t know if it is we who choose or if it is life that takes us where we have to go. I believe much more in the latter.