Yona Friedman & Jean-Baptiste Decavèle

Vigne Museum

ph : Valentina Cunja

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Se il post sul Vigne Museum vi ha incuriosito, giustamente vi chiederete di cosa effettivamente si tratta, su quale ragionamento artistico, architettonico e sociologico pone le sue basi.
Ci muoviamo nella sfera dell’arte processuale, un percorso in continua crescita ed evoluzione e che comprende l’esperienza e il contributo di ogni singola persona che ne prende parte. Allo stesso modo ogni progetto di Yona Friedman è parte di un percorso, un unico macro processo che si dipana e aggiunge nuovi tasselli in base al contesto in cui opera. I progetti sono infatti catalizzatori di cambiamento soggetti a infinite variabili tante quante le persone che vi partecipano, lo spazio, il contesto sociale, l’ambientazione. Più che il risultato, è proprio il processo che si innesca nell’evoluzione del singolo progetto ciò che interessa a Yona Friedman e Jean-Baptiste Decavèle.

Jean-Baptste Decavèle, artista visivo che da molti anni collabora con Yona Friedman nella realizzazione dei suoi progetti e che contribuisce enormemente al dipanarsi del processo di cambiamento e rigenerazione che Friedman promuove con il suo lavoro e poetica, è stata figura fondamentale per il Vigne Musuem. I progetti sono motori di processi di cambiamento soggetti a infinite variabili tante quante le persone che vi partecipano, il contesto, il paesaggio.

Il processo, più che il risultato, è l’oggetto di interesse di Yona Friedman e Jean-Baptiste Decavèle.

Nessuno meglio di Decavèle poteva regalarci un’immagine del Vigne Musuem contestualizzata nella storia dell’architettura e dell’opera di Yona Friedman. Lui ha materialmente realizzato la struttura in un gioco di squadra con Yona Friedman esemplare. Uno scambio continuo fra i due, un palleggio di informazioni rielaborate da Friedman e unite alla grande sensibilità, capacità di lettura del luogo e dello spazio da parte di Decavèle.

ph : Luigi Vitale , edit : Valentina Cunja

         

                  “Il Vigne Museum rappresenta una delle realizzazioni di base dell’ insieme architettonico, sociale, artistico e olistico avviata da Yona Friedman da quando giovanissimo  si era impegnato nell’architettura; era immediatamente dopo la guerra e come rifugiato si era imbarcato per Israele.
Il Vigne Musem si iscrive per me innanzitutto in quella cronologia.
Il Vigne Musem è una conseguenza di tutti i progetti messi in opera da allora in poi, è la conseguenza delle scelte molto precise che lui allora aveva fatto.

Il Vigne Musem è anche una conseguenza del progetto specifico che abbiamo avviato con Livio Felluga, Dora Stiefelmeier, Mario Pieroni, Giovanna Felluga e la sua famiglia.
Il Vigne Musem è il prolungamento dei progetti anteriori che siamo riusciti a realizzare in Italia, in Olanda e in altri luoghi con RAM, Zerynthia e DAC di Roma.

Il tutto è iniziato molto tempo fa, prima ancora che io stesso pensassi di voler essere un artista; nel Vigne Museum parlando da un punto di vista visivo e strutturale si possono trovare certi elementi di base della Città Spaziale, dell’Architettura Mobile, dell’Architettura senza Edificio, dell’Improvvisazione nell’Architettura, dell’Architettura della Sopravvivenza e dei principi di autonomia e di auto-pianificazione. Tra le altre cose.
E poi ci sono altri progetti come quello recente della Summer House, realizzata per la Serrpentine Gallery di Londra.

A volte quando mi soffermo sul Vigne Museum ho l’impressione  di trovarmi in un immenso caleidoscopio in cui ogni segmento rappresenta un’idea diversa di Yona Friedman.
Si tratta di un museo senza porte, un museo che si visita sia dall’esterno che dall’interno. In ogni caso, partendo da lì, si può avere un’infinità di punti di vista su tutto quello che si vuole guardare.

Che cosa è cambiato per me dopo la realizzazione del Vigne Museum?

Sono una persona molto visiva, faccio (tra le altre cose) dei filmati con le mani e dei disegni con i miei passi. C’è qualcosa sul piano formale che è cambiato per me con il Vigne Musem.
Per adattare il progetto del Vigne Musem presso Livio Felluga, si era messo in atto un processo di scambi tra me e Yona Friedman che si trovava a Parigi. Abbiamo lavorato senza mappe, senza disegni, semplicemente improvvisando in situ, sulla base delle molteplici varianti che l’assemblaggio di cubi, di quadrati e di dodecaedri fatti con cerchi del diametro di 185 cm permette.

E’ delicato intervenire nel paesaggio per realizzare un Museo autonomo. E’ delicato semplicemente perché il Museo deve essere parte integrante del Paesaggio e non modificarlo strutturalmente parlando.

E’ abbastanza semplice farlo, basta seguire una linea già presente nel paesaggio e continuarla nella struttura da costruire, senza modificare niente del quadro in cui si interviene.
Così facendo ho trovato il disegno per il Vigne Museum. L’insieme che abbiamo costruito per me rappresenta un disegno. La particolarità di un disegno è che contiene una libertà e una fluidità di tratti, e che, innanzitutto prende in considerazione lo spazio nella sua totalità.

Quello che è cambiato nel Vigne Museum da quando sono partito è che la famiglia Felluga lo fa vivere.”

Jean-Baptiste Decavèle
Parigi 2016

Traduzione di Dora Stiefelmeier

ph : Luigi Vitale , edit : Valentina Cunja

 

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If the previous post about Vigne Museum stimulated your curiosity you might want to know something more about its architecture and its sociological and artistic roots.

We are talking about processual art, a never ending project directly dependent from any person that takes part of it. At the same time any of Yona Friedman’s project is part of a unique macro process that belongs to any context and place where it is located.

Jean-Baptiste Decavèle – a visual artist that has collaborated with Yona Friedman for many years – contributes to the development of the never ending process of changing and regeneration that Yona Friedman promotes through his works and poetic. He has been essential to the growth of the Vigne Museum.

He physically built the structure using his great capacity of managing and reading the space, following Yona Friedman information, using improvisation based on the immediate perception of the structure inside the space, the landscape.

The word that you will hear often in Jean-Baptiste’s sentences is “process”. The process is more important than the result. 

Here below is a contribution by Jaen-Baptiste Decavèle that gives us a perfect image of the Vigne Museum, contextualized inside the history of architecture and inside Yona Friedman’s career.

Vigne Museum, représente une des réalisations constitutives d’un ensemble architectural, social, artistique, holystique…initié par Yona Friedman depuis qu’il s’est engagé très jeune dans sa vie d’architecte, juste après-guerre,  alors qu’il n’était qu’un réfugié débarquant en Israël.

Vigne Museum s’inscrit pour moi avant tout dans cette chronologie.

Vigne Museum est une conséquence de tous les projets que Yona Friedman a mis en oeuvre, depuis ce temps là, c’est une conséquence des choix très précis qu’il a fait. 

Vigne Museum, c’est aussi une conséquence du projet spécifique que nous avons initiés avec Livio Felluga, Dora Stiefelmeier, Mario Pieroni, Giovanna Felluga comme directrice artistique et avec sa famille. 

Vigne Museum c’est  aussi un des prolongements de projets antérieurs que nous avons pu réaliser en Italie, en Hollande et dans d’autres endroits avec RAM, Zerynthia et DAC de Rome. 

Cela a donc commencé depuis bien longtemps déjà, bien avant que je pense même vouloir être artiste, et vous pouvez retrouver dans Vigne Museum, visuellement et structurellement parlant certains des éléments constitutifs de La Ville Spatiale, de l’Architecture Mobile, d’Architecture without Building, de l’Improvisation en architecture, de l’Architecture de survie et des principes d’autonomie et d’auto planification. Entre autres.

Ensuite, il y a eu d’autres projets de Yona Friedman, comme dernièrement la Summer house qu’il a réalisé à La Serpentine Gallery à Londres.

Parfois, quand je passe par Vigne Museum, j’ai l’impression visuelle d’être à l’intérieur d’un immense kaléidoscope, dans lequel chaque facette représente le prisme d’une idée très particulière de Yona Friedman. 

C’est un musée sans porte, un musée qui se visite de l’extérieur comme de l’intérieur. Dans tous les cas, à partir de là vous pouvez avoir une infinité de points de vue sur ce que vous allez regarder.

Qu’est-ce qui a changé pour moi depuis la réalisation de Vigne Museum? 

Je suis quelqu’un de visuel, je filme (entre autre) avec mes mains et je dessine avec mes pas. Il y a quelque chose de formel qui a changé pour moi avec Vigne Museum

Pour adapter Vigne Museum chez Livio Felluga, cela s’est mis en place au travers des échanges que nous avons eu avec Yona Friedman qui était à Paris. Nous avons travaillé sans plans, sans dessins, juste en improvisant sur place, sur la base des variantes que peuvent offrir l’assemblage de cubes, de carrés, de dodécaèdres faits avec des cercles de 185 cm. 

C’est délicat d’intervenir dans le paysage, pour réaliser un Musée autonome. C’est délicat tout simplement parce que le Musée doit faire partie intégrante du Paysage et non pas modifier structurellement parlant ce paysage.

Pour faire cela, c’est assez simple, il suffit de suivre une ligne qui est présente dans le paysage, et la poursuivre avec la structure à construire, sans ne rien modifier de là où il faut intervenir.

En faisant cela pour Vigne Museum, j’ai trouvé le dessin. C’est à dire que l’ensemble qui a été construit représentait pour moi, un dessin. La particularité d’un dessin, c’est qu’il y a dedans une liberté et une fluidité de traits, et aussi et avant tout qu’il prend en compte l’espace dans sa totalité.

 Ce qui a changé par rapport à Vigne Museum tel que je l’ai laissé en partant, c’est que Livio Felluga le fait vivre. Pour moi, ce choix rejoint mes préoccupations du moment.

Ce qui a changé? Il y a eu beaucoup de choses marquantes ces deux dernières années et qui posent beaucoup de questions sociales et structurelles. Aussi, en résumé, je dirai que ce qui a beaucoup changé pour moi, c’est ce contexte là : les attentats et les réfugiés, pour ne citer qu’eux.

Les attentats ont des conséquences sur comment notre vie quotidienne s’organise et est organisée et contrôlée, ce qui est prévisible et nous laisse aussi libres de propositions. Les réfugiés posent aussi des questions importantes, qui permettent d’aller plus en avant dans la redéfinition de comment une société, une ville peuvent se renouveler, s’organiser, se réinventer, survivre. Cela ne fait bien entendu pas que des heureux (de notre côté occidental je veux dire). C’est bien entendu un moment historique, et nous le vivons ensemble. 

Quand nous avons terminé No Man’s Land, à Loreto, avec La Fondation Aria, RAM, Zerynthia et DAC, avec Cecilia Casorati, il y a quelques mois, Yona Friedman disait que cela peut-être fait dans tous les villages, ce genre d’initiative. Il en est de même pour Vigne Museum. Ces deux projets sont liés, ils représentent une cartographie très particulière de ce qu’un Musée peut-être. Un Musée c’est avant tout de l’espace, une architecture donnée, c’est de l’espace comme la vie est l’espace que nous arrivons à construire entre nous. Aussi, une des choses qui a changé et qui est liée à Vigne Museum, et aussi à No Man’s Land, c’est que Vigne Museum représente aussi un des points d’ancrages de cet espace qui s’est mis en place entre autre en Italie, et qui ne demande qu’à grandir. Ce qui s’est mis en place, c’est une initiative, et c’est cela qui est important je trouve, l’initiative, sans quoi les idées meurent. C’est cette initiative qu’il faut poursuivre, maintenir les actions locales, les enrichir, et agrandir, élargir cette cartographie sans frontières que Vigne Museum et No Man’s Land ont généré.

Jean-Baptiste Decavèle
Paris 2016